Francesco Grandis, in arte Wandering Wil, è una di quelle persone che lasciano il segno. Almeno, a noi di Hotelsclick.com, questo è l’effetto che ha fatto.
Classe ’77, veneto, Bilancia ascendente Leone, ingegnere elettronico.
Una vita che per molti anni è stata assolutamente “normale”, per di più con un lavoro a tempo indeterminato che oggi in molti gli avrebbero invidiato. (Leggete la sua biografia!).
Sennonché, a un certo punto, qualcosa scatta dentro. Si potrebbe parlare di irrequietezza o insoddisfazione.
O persino di narcisismo.
Ognuno trovi le spiegazioni che più gli piacciono.
Secondo noi, si tratta semplicemente (o difficilmente) di porsi alcune domande legittime che in pochi, tuttavia, hanno il coraggio di porsi.
E, così, in poco tempo si arriva a mettere in discussione la propria vita, le proprie scelte, il proprio percorso. In una parola: se stessi.
Così è successo a Francesco che, prima di diventare Wandering Wil, era un ragazzo come tanti altri che, a un certo punto, ha come guardato la sua vita dall’esterno ed, evidentemente, non ci si è ritrovato.
Da qui la decisione di “cercare altrove la sua serenità“.
Nel 2009, Francesco lascia il lavoro e spende i soldi messi da parte per intraprendere un giro del mondo che è, però, molto di più di un viaggio, per quanto lungo: è una ricerca.
A noi sembra che, benché la strada sia ancora lunga, Francesco “Wandering Wil” Grandis abbia trovato qualcosa che la maggior parte della gente ignora.
Oggi vi proponiamo un’intervista a Wandering Wil che, speriamo, permetterà di capire meglio la sua personalità e la sua sensibilità, quella che emerge in molti dei post del suo blog.
Per noi è stato davvero un piacere conoscere Francesco e parlare con lui.
Se avete voglia, ecco la nostra intervista.
HC: Mantieni il mistero attorno al nome Wil, che dici essere una sigla, ma riveli di aver preso Wandering anche da una canzone del film “Into the Wild”, “Guaranteed” di Eddie Vedder. Cosa pensi della storia di Christopher McCandless?
WW: La storia di Chris è stata un’ispirazione per tanti che, come me, sentivano di dover cercare nel mondo qualcosa di più importante e profondo della normale routine, la rotella del criceto. È stata l’espressione autentica di una libertà non superficiale. Chris non era un semplice vagabondo alla ricerca di esperienze forti, come ce ne sono tanti, ma una sorta di filosofo errante che trovava nella compagnia degli sconosciuti e nella solitudine della natura selvaggia la risposta alle sue domande. Ho avvertito una grandissima affinità con lui.
HC: Tu hai mai avuto paura, durante i tuoi viaggi? Non paura della solitudine, intendo, che anzi spesso ricercavi come compagna… Piuttosto paura che succedesse qualcosa di imprevisto, dalle conseguenze terribili, come nel libro/film?
WW: Una sola volta, durante una camminata solitaria in montagna di una decina di giorni. Mi sono perso nella neve, e non ero nelle condizioni per affrontare un eventuale imprevisto. Ho passato un brutto quarto d’ora, ma ho mantenuto la calma e lucidamente ho trovato una soluzione che mi ha permesso di essere qui a raccontarlo. A parte questo, durante i miei viaggi sono stato in ospedale tre volte (alcuni non propriamente raccomandabili), sono stato derubato una volta, ma queste sono le cose peggiori. Non sono mai stato realmente in pericolo di vita. Di natura tendo a essere piuttosto prudente, ma non mi nego mai il brivido di qualche avventura sconsiderata. Esseri prudenti è diverso da essere paurosi.
HC: Torniamo al 2009, quando ti imbarcavi sull’aereo per Londra… Ricordi i pensieri e le emozioni che attraversano la tua mente in quel preciso istante?
WW: Ricordo solo una grandissima emozione, un sorriso da orecchio a orecchio che non riuscivo a strappare dalla faccia, e il cuore che mi batteva forte. Mi sentivo come se mi fossi innamorato alla follia. Ero allo stesso tempo in preda alla confusione più totale e a una fortissima determinazione. Sapevo che dovevo salire su quell’aereo, ma non avevo la più pallida idea del perché io lo stessi facendo. L’ho fatto, ed è stata una delle decisioni migliori della mia vita. Lo rifarei domani, se potessi.
HC: La tua “illuminazione” è avvenuta in un tempio a Bangkok, il Wad Mahadhat, durante un corso di meditazione a cui approdasti dopo una serie di eventi apparentemente casuali che, col senno di poi, sono risultati strettamente connessi l’un con l’altro. Che ruolo ha avuto la meditazione nella tua vita, come viaggiatore e come uomo? È stato solo un tassello per completate il puzzle o hai continuato a praticarla?
WW: Ho tentato di praticarla a casa, ma con scarsissimi risultati. Faccio sempre molta fatica a concentrarmi sulle cose e a essere disciplinato nelle abitudini. Da un lato riconosco il valore che la meditazione potrebbe avere per me, magari proprio andando a limare questi miei “difetti”, dall’altro però non sono più capace di applicarmi ad essa con regolarità. È nella mia lista di cose da fare, ma sempre troppo in basso. Allo stato attuale delle cose la mia esperienza meditativa è limitata a quella famosa settimana al Wad Mahadhat, e rimane legata a uno degli eventi più importanti della mia vita. Forse il più importante.
HC: Il tuo ultimo viaggio, in Nord Europa, lo hai affrontato con la tua auto, trasformata in un piccolo camper (potremmo ribattezzarla “Magic Car”). Cosa ti ha spinto a sperimentare una volta ancora la solitudine?
WW: In realtà l’avevo già battezzata Wil Mobile (da pronunciare “Uìl Mobìl”), ma anche Magic Car è una bella dedica al Magic Bus del povero Chris.
Nella natura selvaggia si incontra un particolare tipo di solitudine che è difficile da trovare in Italia, e così di tanto in tanto sento il bisogno di cercarla altrove. Dopo essere stato in Norvegia, anni fa, era da qualche anno che covavo l’idea di viaggiare attraverso l’estremo nord dell’Europa campeggiando dove mi pareva, una possibilità garantita per legge nei paesi scandinavi (si chiama “Diritto di libero accesso”). Pur cercando qualcosa che conoscevo già, lo volevo fare in un modo nuovo, mai fatto prima. È stato un viaggio splendido che mi ha fatto tornare nuovamente in contatto con me stesso. A pensarci, forse riesco a trovare una dimensione più meditativa in mezzo a un bosco o in riva a un lago che nel silenzio di un tempio.
HC: Il posto che non hai ancora visto e quello che ha lasciato maggiormente il segno?
WW: Nella parte alta della classifica dei “posti da visitare” c’è tutto il Centroamerica, in particolare tutti i paesi piccoli tipo Panama, Nicaragua, Costarica, etc. E non disdegnerei nemmeno le isole caraibiche! Al momento sono affascinato dai popoli latini, con cui sento una certa affinità caratteriale. A dirla tutta però, mi piacerebbe visitare tutto il mondo. Non sono mai stato in Africa, e sento che è una grossa mancanza.
Quello che ha lasciato maggiormente il segno? Il Canada. Era nata come una vacanzina, in tempi non sospetti, ma ha rappresentato “l’inizio di tutto”. È stata la prima volta in cui ho pensato che forse stavo sbagliando strada. Anni dopo avrei accostato l’auto per piangere, avrei mollato il lavoro e avrei iniziato quella vita che mi porta oggi a essere intervistato come Wandering Wil. Quelle lacrime, però, nascevano molto lontano, in riva a un lago pulito, tra i boschi del Canada.
HC: Per il tuo lavoro da vagabondo ti bastano un computer e una connessione internet. Ti sei mai chiesto che cosa sarebbe stato di te se avessi vissuto prima dell’avvento del web?
WW: Sinceramente no. Riconosco la grande fortuna di avere questi mezzi a disposizione, ma sono abbastanza sicuro che mi sarei arrangiato in qualche modo. La curiosità, lo spirito di avventura e la ricerca interiore sono caratteri senza tempo. Magari sarei finito a fare il cantastorie errante, chi lo sa!
HC: In molti sognano di mollare tutto e partire, mettersi in viaggio alla ricerca di se stessi. In pochi, però, hanno il coraggio di farlo. Perché secondo te?
WW: Perché siamo nati e cresciuti in una società molto chiusa che ci protegge dalle sfide, premia la standardizzazione e pregiudica il diverso. Non siamo più abituati a fare le cose davvero controcorrente, perché persino gli anticonformisti seguono le mode. In questo contesto è difficile affermare la propria identità, quando questa deve proseguire per una strada trasversale a quella comune. Il risultato? Paura. Paura di fallire, paura dell’opinione altrui, paura di non farcela, paura di quello che si trova fuori dalle mura di casa. Siamo convinti di essere più ricchi ed evoluti, ma in realtà siamo diventati deboli, incapaci di esprimere la nostra vera personalità in un modo diverso dai vestiti che indossiamo.
HC: Ora hai una famiglia, giusto? Come pensi di organizzare la tua vita e i tuoi viaggi adesso?
WW: Si, ho un bambino di quasi quattro mesi. Devo ancora capire come organizzarmi, a essere sincero. In questo momento ho un progetto importante, ovvero la pubblicazione del mio libro. Questo segnerà sicuramente un punto di svolta, nel bene o nel male. A seconda di cosa succederà, si apriranno alcune strade e se ne chiuderanno altre. Passare quel punto mi chiarirò le idee. Un passo sicuramente obbligato è tornare a essere economicamente indipendente quanto prima, perché per scrivere ho rinunciato a qualsiasi altro guadagno. Quel che è certo è che non voglio vivere la dimensione familiare come un ostacolo, ma come un’estensione alla libertà che ho sempre inseguito. Sono sicuro che viaggeremo. Come, quando e quanto lo vedremo strada facendo.
HC: Tra gli altri ho letto il post della verità nascosta oltre i bordi delle cartoline, con la riflessione finale sui danni che stiamo facendo al nostro pianeta e, di conseguenza, a noi stessi. Prima che nascesse tuo figlio Michele, hai mai pensato in che razza di mondo sarà destinato a vivere?
WW: Certamente, ci penso spesso. Amo la natura in tutte le sue forme, e cos’è la natura se non quello che rimane del nostro splendido pianeta, prima che lo rovinassimo? Pur non essendo un attivista, sono molto sensibile ai temi dell’ecologia. Purtroppo stiamo distruggendo la vita su questo pianeta sotto tanti aspetti, e quello ecologico è solo uno. C’è sempre più povertà e ingiustizia, poteri corrotti ai governi, ipocrisia, menzogna e avidità. Mio figlio dovrà combattere per trovare o creare la sua oasi serena. Farò del mio meglio per educarlo a dei valori che vadano in direzione dell’uomo e della terra, non in quella opposta.